venerdì 15 aprile 2011

La banalità del male - Storia senza storie



La cronaca ci rammenta in maniera incredibilmente attuale la lettura data da Hannah Arendt  sul male e la sua banalità.

Come giunse ad affermare che “il male” fosse proprio “banale” e non piuttosto metafisico?

Osservandone un “prototipo”, cioè Eichmann*. L’uomo, nel corso del processo, non dimostrava una particolare intelligenza e la Arendt notò nel suo atteggiamento una totale assenza di capacità di riflessione, e correlazione tra pensiero, vita interiore, azione, sentimenti, il tutto accompagnato, per contrasto,  da una certa facilità all’osservanza di norme e codici precostituiti, ovviamente, in maniera acritica.
Da ciò trasse l’ironica conclusione che il volto del male è il volto della banalità, cioè dell’inconsistenza o assopimento di una coscienza che si ritaglia – accontentandosene –  dei propri spazi di utilità. 

Si può dire allora che alla “radice” della banalità del male vi è un problema di relazione: l’incapacità di interessarsi alla vita ed alla sorte dell’altro in quanto perfettamente ripiegati su se stessi, per cui  privi  di quello sguardo che si fa attenzione, cura dell’altro. 

E’ quasi ovvio che ciascuno di noi è più interessato ad un solo dito della propria mano piuttosto che alla vita di uno sconosciuto a centinaia di chilometri di distanza, ma è pur vero che, questa quotidiana “distrazione”, come direbbe Edith Stein, ci rende meno umani ed è la fonte di una irrazionalità etica o “perversione motivazionale” che sfocia nel disimpegno, nell’indifferenza, nel “pressapochismo”, così tanto di moda.

Si giudicano i fatti attraverso informazioni filtrate che ci offrono delle verità parziali e se a ciò si aggiunge l’ignoranza spesso corredata dalla superficialità della nostra personale capacità di giudizio e la tendenza all’omologazione del pensiero pilotata dalle numerosissime agenzie di “strumentalizzazione d’opinione”, ci accorgiamo che ci troviamo in un’epoca in cui siamo tristemente vicini al passato. 

Anche oggi come allora siamo posti di fronte alla “banalità” del male: quale “valore” si vuole oggi difendere al prezzo della vita di tanti innocenti? L’ identità di un popolo vale più di un altro? La vita di un israelita più di quella di un palestinese? Quanti Eichmann si nascondono dietro tutte queste morti, quale personale giardinetto stanno curando a scapito di tante vite, ma soprattutto cosa “distrae” chi può intervenire e non lo fa? 

La situazione internazionale è delicata … tanti equilibri da mantenere … e poi sicuramente la crisi economica ruba spazi di riflessione altrimenti dedicati a strategie di pace …  questo “vuoto di pensiero” di cui Hannah Arendt parla è sempre, in definitiva, pensiero di qualcos’altro e se ne seguissimo le tracce come dei bravi segugi, scopriremmo che non è di nichilismo che si tratta, come qualcuno afferma, ma rimarremmo scandalizzati dalla scoperta di un consistente mucchio di varie banalità, tutte indispensabili …

a.f. 


*Adolf Eichmann: Nacque a Solingen (Austria) il 19 marzo 1906. 

Dal 10 ottobre 1934 svolse la sua attività presso l'Ufficio 

centrale dell'SD a Berlino, istituzione che svolgeva 

azioni investigative e “preventive” nella lotta contro

gli avversari del regime.



Da subito, Eichmann venne incaricato di occuparsi 

della "questione ebraica", operando il censimento 


delle comunità ebraiche nel paese ed organizzandone

l'emigrazione forzata dalla Germania.

Nel 1937, Eichmann si recò personalmente in Egitto 

per studiare un possibile espatrio degli ebrei alla 

volta della Palestina.


Nel 1938, si occupò dell'emigrazione forzata degli 

ebrei viennesi, dopo aver sottratto loro ogni bene 

materiale. 

Nell'aprile 1939 venne inviato a Praga perché 

coordinasse l’espatrio degli ebrei cecoslovacchi da 

Boemia e Moravia.

Nella seconda metà del 1939 fece ritorno a Berlino, 

dove fu incaricato della Direzione Generale per la 

Sicurezza del Reich, RSHA, con particolare 

attenzione all’ufficio speciale "Questioni ebraiche ed

evacuazione", che si occupava di mettere in atto 

l'espulsione dei polacchi e degli ebrei ed il loro 

successivo trasferimento all’interno del 

Governatorato generale. 

L’ufficio di Eichmann svolgeva tutte le pratiche per la

privazione della cittadinanza degli ebrei deportati ed 

il sequestro dei loro averi, poi materialmente svolto 

dalla Direzione generale delle Finanze.


Eichmann era incaricato inoltre di attuare il 

trasporto di migliaia di ebrei nella più totale 

indifferenza per il loro futuro, pur essendo ben 

informato sul destino di questi uomini, il cui viaggio 

si sarebbe concluso nei campi di sterminio di massa 

che egli periodicamente “visitava” rassicurandosi del 

corretto funzionamento delle stanze per lo 

sterminio, ovvero le “camere a gas”.

Nel 1944 si trasferì a Budapest, dove gli venne 

affidato il comando di un corpo speciale che, 

cooperando con i fascisti ungheresi, organizzava la 

deportazione degli ebrei dall'Ungheria ad Auschwitz.

Nel maggio 1945, travestito da soldato dell’aviazione 

tentò di fuggire attraverso la Baviera ma catturato, 

venne riconosciuto grazie al tatuaggio con il simbolo

delle SS che aveva “inciso a fuoco” sotto l’ascella. 

Nel 1946 riuscì a fuggire nascondendosi a Luneburg 

(Germania), dove lavorò fino al 1950 come 

taglialegna ma, successivamente, dopo aver appreso 

che diversi amici (criminali) nazisti ed alcuni 

ricercati fascisti si erano rifugiati in Argentina, 

raggiunse l'Italia dove si imbarcò con passaporto 

falso da Genova alla volta di Buenos Aires.


Nel 1960 fu scoperto dai servizi segreti israeliani che 

attuarono il suo “rapimento”, conducendolo – senza 

chiedere l’autorizzazione all’espatrio –  in Israele.

Ad assumere la difesa di Eichmann fu un avvocato 

straniero, Robert Servatius di Colonia, che aveva già 

difeso altri ufficiali nazisti al processo di Norimberga.

Il 31 maggio 1962, Eichmann venne impiccato. 


"All'occorrenza salterò nella fossa ridendo perché la
consapevolezza di avere cinque milioni di ebrei 

sulla coscienza mi dà un senso di grande soddisfazione".


Adolf Eichmann
                                                                                                                                       

Storia senza storie.


Terra di cedri ed ulivi,
terra di pietre maledette
in nome di quale Dio affoghi
in rovi e polveroso affanno
per diritto d'un popolo
nella diaspora nutrito
d’amaro sale e dolore?

Ieri vittime tatuate a numero e fosse
non vedono lo scempio
del proprio diritto
nel disumano vissuto genocidio?

Acre odore macabro di decenni
e sangue di disperazione e fame
sulle terre sfrattate e mutilate
non giungi ancòra
alle narici dei nuovi Pilato
immobili a decretare
nel complice silenzio
il trionfo dell’inferno sulla storia.

n.c.


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